Scoperta vita che può sopravvivere ad una temperatura di 120 gradi

I microrganismi possono vivere praticamente ovunque sulla Terra e uno dei luoghi più “estremi” è quello che si trova sotto il fondale marino. Si tratta di un ambiente praticamente isolato dall’acqua soprastante e privo di cibo nonché di luce.
Un nuovo studio, pubblicato su Nature Communications, ha provato a spingere ancora di più questi limiti dell’esistenza della vita stessa scoprendo che ci sono microrganismi che vivono sotto il fondale marino a più di 1200 metri di profondità e a temperature che raggiungono i 120° centigradi.

Gli scienziati hanno usato la nave di perforazione scientifica giapponese Chikyu per raccogliere vari campioni di sedimenti al largo della costa della Giappone.
Si sono interessati ai tassi metabolici dei microrganismi presenti nei campioni scoprendo che erano molto alti per una biosfera così profonda. In particolare hanno analizzato i tassi di riduzione del solfato disciolto nel sedimento.

Secondo Felix Beulig, ricercatore dell’Università di Bayreuth, l’autore principale della ricerca, questi microrganismi devono mantenere un tasso metabolico che deve avvicinarsi a quello dei microbi che vivono nei sedimenti più superficiali. Solo in questo modo riescono ad acquisire l’energia necessaria per riparare i danni alle loro cellule causati dal calore.

Anzi, secondo il ricercatore la maggior parte dell’energia che riescono ad acquisire in ambienti così difficili viene utilizzata proprio per contrastare l’alterazione continua degli amminoacidi e la perdita delle funzioni delle proteine causate dalle alte temperature, come spiega Tina Treude, professoressa di geomicrobiologia marina all’UCLA e altra autrice dello studio.
Resta comunque ancora un mistero come forme di vita come queste si siano evolute per sopportare condizioni del genere.

Note

  1. New research discovers surprising activity among organisms thriving in extremely deep, hot subseafloor
  2. Rapid metabolism fosters microbial survival in the deep, hot subseafloor biosphere | Nature Communications (DOI: 10.1038/s41467-021-27802-7)
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