Un notevole ecosistema di tipo microbico che vive nella profondità terrestre e che si nutre delle sostanze chimiche prodotte durante le collisioni continentali viene descritto in un interessante studio guidato da Karen Lloyd, una professoressa associata di microbiologia dell’Università del Tennessee a Knoxville.
Quando le placche, sia quelle oceaniche che quelle continentali, si scontrano una viene spinta sopra l’altra e durante questo processo vengono spostate notevoli quantità di elementi chimici tra la stessa superficie terrestre e il suo interno. “Le zone di subduzione sono ambienti affascinanti: producono montagne vulcaniche e fungono da portali per il movimento del carbonio tra l’interno e l’esterno della Terra”, spiega Maarten de Moor, professore dell’Università nazionale del Costa Rica ed altro autore dello studio.
E non pensiate che le alte temperature, così come le alte pressioni, coinvolte in processi del genere possano negare l’esistenza della vita: sempre più studi e ricerche hanno mostrato, nel corso degli ultimi anni, che microrganismi di ogni natura possono vivere in ambienti che fino a qualche anno fa non avremo mai preso in considerazione in termini di presenza di vita. E uno di questi ambienti è proprio la profondità della crosta terrestre, con i suoi ambienti caldissimi, le pressioni enormi e, spesso, sconvolgenti cataclismi.
Il team di ricercatori dell’università americana ha analizzato i campioni di alcune comunità microbiche presenti nel sottosuolo che vengono spostate in superficie tramite sorgenti termali. Questi sistemi microbici hanno una caratteristica notevole: sono capaci di sequestrare grosse quantità di carbonio che viene prodotto durante la subduzione. Si tratta di carbonio che finirebbe altrimenti nell’atmosfera e aumenterebbe l’effetto serra cui siamo esposti.
E tutto ciò viene fatto dai batteri praticamente senza l’ausilio dell’energia solare “Ciò significa che la biologia potrebbe influenzare i flussi di carbonio dentro e fuori il mantello terrestre, il che costringe gli scienziati a cambiare il modo in cui pensano il ciclo profondo del carbonio su scale temporali geologiche”, spiega Peter Barry, scienziato del Woods Hole Oceanographic Institution ed altro autore dello studio.
I microbi realizzati da ricercatori, denominati chemolitoautotrofi, sono capaci di produrre energia proprio tramite il carbonio e senza l’ausilio della luce solare ma solo cono sostanze chimiche che si formano proprio nella zona di subduzione. “È come una vasta foresta, ma sotterranea”, spiega ancora la Lloyd.[1]
Lo studio è stato pubblicato su Nature Geoscience. [2]