Quello che viene definito come un “potenziale biomarcatore per la sindrome della morte improvvisa del lattante” è stato individuato da un team di ricercatori australiani secondo quanto riferisce un nuovo articolo della CNN.[1] L’articolo riprende un nuovo studio pubblicato su eBioMedicine.[2]
La sindrome della morte improvvisa del lattante
La sindrome della morte improvvisa del lattante colpisce migliaia di bambini ogni anno. La causa specifica non è conosciuta e non si sa nemmeno con certezza quali sono i soggetti più a rischio.
Questa sindrome, conosciuta anche con l’acronimo di SIDS (sudden infant death syndrome), può portare alla morte dei bambini. Il decesso accade in particolare quando il soggetto dorme. Naturalmente nelle ipotesi sono state fatte. Gli scienziati credono che possa essere collegata a problemi cerebrali, in particolare in aree che hanno un ruolo nella respirazione e nella veglia.[1]
Lo studio sul sangue di 67 neonati morti
In questo caso i ricercatori hanno prelevato campioni di sangue di 67 neonati morti proprio per questa sindrome. Hanno analizzato i livelli di un particolare enzima denominato butirrilcolinesterasi (BChE) confrontandoli con quelli del sangue prelevato da bambini di un gruppo di controllo. I ricercatori notavano livelli dell’enzima molto più bassi nei bambini morti per la sindrome.[1]
L’enzima butirrilcolinesterasi (BChE)
Il BChE è un enzima che fa parte del sistema colinergico che ha un ruolo nel controllo della pressione sanguigna e della respirazione. Gli stessi ricercatori specificano che ulteriori studi dovrebbero essere fatti per capire meglio questo collegamento anche perché si tratta di uno studio con diverse limitazioni.
Secondo quanto riferisce l’articolo della CNN, in ogni caso, è probabile che ci siano altri fattori in gioco, come condizioni caratterizzanti la storia familiare, casi di parti prematuri oppure il fumo durante la gravidanza. Questi fattori potrebbero influire sugli enzimi e sul sistema nervoso.[1]
Bambini in pericolo hanno reazione, alcuni no
Carmel Harrington, ricercatrice del Children’s Hospital di Westmead, Australia, l’autrice principale dello studio, spiega che di solito bambini quando sono in pericolo di vita hanno una reazione che li porta a gridare e quindi ad essere salvati. Ad esempio un bambino che dorme a pancia in giù e che non riesce più a respirare si sveglierà e comincerà a piangere. Alcuni bambini, però, sembrano non essere caratterizzati dalla stessa “forte risposta di eccitazione”. La ricercatrice spiega che l’enzima BChE sembra essere coinvolto proprio in questa deficienza nell’eccitazione.[1]