Il fenomeno psicologico della “sindrome dell’impostore” è indipendente da fattori pur importanti come l’età, il sesso e il livello di intelligenza. A giungere a queste conclusioni è psicologo dell’Università Martin Lutero di Halle-Wittenberg.[1] Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Personality and Individual Differences.[2]
La sindrome dell’impostore
La sindrome dell’impostore si basa sulla tendenza, per nulla rara visto che caratterizza diverse persone, a “sottovalutarsi” e a mettere in discussione le proprie capacità. Quando hanno successo queste persone si convincono che lo stesso successo sia da ricondurre a delle circostanze fortuite, al caso, alla fortuna e non a propri meriti.
La sindrome dell’impostore può caratterizzarsi anche quando queste persone offrono ottime prestazioni e ricevono ottimi feedback sul lavoro, per esempio. Credendo che le proprie prestazioni siano sopravvalutate, queste persone, quando accadono dei fallimenti, li interiorizzano collegandoli automaticamente a propri difetti.
Buona dose di insicurezza
Mentre una buona dose di insicurezza può portare ad un certo livello di riflessione e quindi ad evitare l’avventatezza, come spiega Kay Brauer, ricercatore dell’Istituto di psicologia dell’università tedesca che ha realizzato lo studio, la stessa insicurezza può letteralmente affliggere le persone quando i livelli sono troppo alti.
L’esperimento su 76 partecipanti
La sindrome dell’impostore può essere considerata come un tratto della personalità che non è stato molto studiato. Il team di ricercatori ha provato ad analizzare la sindrome dell’impostore per la prima volta in condizioni di vita reale. I ricercatori hanno analizzato 76 partecipanti. Questi ultimi dovevano eseguire dei test di intelligenza. I partecipanti ricevevano dei feedback positivi dopo i test e alla fine dovevano dare il proprio parere riguardo ai loro risultati e dire cosa pensavano del fatto che avevano fatto così bene.
Sindrome dell’impostore non collegato ad intelligenza, età e sesso
I ricercatori scoprivano due cose: la sindrome dell’impostore non poteva essere collegato all’effettivo livello di intelligenza. Inoltre scoprivano che la condizione era del tutto scollegata dall’età e dal sesso. Gli stessi risultati dello studio, tuttavia, confermavano l’assunto secondo il quale la sindrome dell’impostore è una tendenza a svalutare le proprie prestazioni anche quando vengono oggettivamente misurate e a ricondurre i successi solo a cause esterne, come il caso e la fortuna, non alle proprie capacità.
La sindrome dell’impostore venne descritta nella prima volta da due psicologhe statunitensi, Pauline Clance e Suzanne Imes, nel 1978. Non si tratta di un disturbo mentale anche se le persone che ne sono afflitte sembrano essere più inclini alla depressione, come spiega lo stesso Brauer.[1]