
Sostanze chimiche presenti nei tessuti degli organi dei feti concepiti molti anni dopo, se non decenni, che queste stesse sostanze erano state proibite sono stati trovati da alcuni ricercatori del Karolinska Institutet in Svezia. I ricercatori, che hanno pubblicato il proprio studio su Chemosphere, credono che si tratti di risultati che dovrebbero spingere le autorità di regolamentazione a riconsiderare l’impatto di queste sostanze chimiche sulla società, come spiega Richelle Duque Björvang, una ricercatrice del Dipartimento di Scienze Cliniche, Interventi e Tecnologie del Karolinska, la prima autrice dello studio.[1]
I ricercatori si sono concentrati soprattutto sugli inquinanti organici persistenti (persistent organic pollutants, POP), sostanze chimiche tossiche che possono rimanere nell’ambiente per molto tempo e che purtroppo possono accumularsi anche nel corpo umano. Queste sostanze possono essere assimilate in vario modo, attraverso il cibo, attraverso l’acqua o anche attraverso l’aria. Sono diversi i paesi, tra cui quelli dell’Unione Europea, che ne hanno limitato o addirittura vietato la produzione e l’utilizzo.
I ricercatori hanno analizzato campioni di tessuto prelevati dall’adipe del feto, dal fegato, dal cuore, dal polmone e dal cervello di 20 donne gravide. Tutte queste gravidanze si erano concluse con la morte del feto nel terzo trimestre negli anni 2015 2016. In ognuno degli organi analizzati, i ricercatori identificavano almeno 15 di 22 POP inizialmente presi in considerazione per l’individuazione. Di queste 15 sostanze, quattro erano state trovate in tutti i tessuti dei feti.
Tra le sostanze più presenti c’erano l’HCB, un pesticida usato contro i funghi, il DDE, un metabolita del DDT usato contro gli insetti fino a metà del 1900, e alcune varianti del PCB, sostanze chimiche che fino a qualche decennio fa si usavano in alcuni prodotti elettrici. Per alcuni feti, le sostanze presenti superavano quelle presenti nel sangue materno e nella placenta, cosa che può essere forse spiegata dal fatto che queste sostanze tendono ad accumularsi di più nel tessuto adiposo. Alcuni pesticidi venivano individuati nel tessuto del feto anche quando non venivano individuati nei campioni di sangue materno o nella placenta.[1]
Secondo Pauliina Damdimopoulou, ricercatrice del suddetto dipartimento ed altra autrice dello studio, gli approcci che oggi si utilizzano per quantificare l’esposizione chimica dei feti dovrebbero essere aggiornati o rivisti in quanto, per determinate sostanze, l’esposizione da parte dei feti risulta maggiore di quella mostrata dai campioni del sangue o della placenta.[1]
Secondo la Björvang, dato che queste sostanze sono state usate per decenni, spesso fino agli anni 70, e dato che si tratta di sostanze chimiche persistenti, ci vorranno più generazioni affinché l’esposizione sarà eliminata del tutto.[1]