
Il volo NS-31 di Blue Origin, avvenuto il 14 aprile 2025, ha portato sei donne ai confini dello spazio. L’articolo di Betsy Pudliner, pubblicato su The Conversation,[1] esplora come questo evento, apparentemente storico, riveli l’ambiguità crescente tra turismo e vera esplorazione scientifica.
Chi è davvero un’astronauta?
Sebbene le protagoniste del volo siano state celebrate per la loro impresa, non hanno svolto attività scientifiche né superato l’addestramento rigoroso tipico della NASA. Piuttosto, si sono inserite in una nuova categoria: quella dei turisti spaziali. La loro esperienza è stata accuratamente costruita e promossa, più come un evento mediatico che come un’avventura scientifica. Indossavano tute da volo brandizzate, ricevevano patch e partecipavano a sessioni fotografiche: tutto progettato per farle sentire, almeno per un giorno, astronaute.
Un mercato di nicchia con un impatto simbolico
Il turismo spaziale, nato negli anni Ottanta con la stazione Mir e poi sviluppato con l’ISS, ha preso oggi la forma di brevi esperienze suborbitali accessibili solo a pochi. Queste esperienze, seppur brevi, offrono un grande ritorno simbolico: status, visibilità e senso di esclusività. Non si paga per il luogo visitato, ma per il significato sociale e personale del viaggio. In questo senso, la partecipazione delle sei donne al volo di Blue Origin ha offerto più un simbolo che una scoperta.
Le motivazioni dietro la corsa allo spazio
Pudliner spiega che i turisti spaziali rispondono a una combinazione di fattori interni – come il desiderio di compiere qualcosa di unico – ed esterni, come la vista della Terra dallo spazio o l’assenza di gravità. È un’esperienza attentamente coreografata e venduta come un evento carico di emozioni, un rituale. I voli sono promossi attraverso narrazioni potenti, con protagonisti famosi e momenti di forte impatto visivo, più simili a campagne pubblicitarie che a missioni esplorative.
Dal simbolo alla normalizzazione
L’autrice sottolinea che il turismo spaziale è ancora nella sua fase d’esplorazione: costoso, elitario e destinato a pochi. Ma proprio come il Grand Tour aristocratico del passato, anche questo potrebbe aprire la strada a un accesso più ampio nel futuro. Tuttavia, oggi ciò che conta è come queste esperienze vengono raccontate: chi può parteciparvi, come vengono descritte e che messaggi trasmettono. Comprendere la cornice narrativa di questi viaggi aiuta a decifrare come l’industria turistica costruisce il senso dell’“impresa” spaziale, molto prima che diventi alla portata di tutti.