
Sono due gli studi prodotti da ricercatori dell’Università di Melbourne, uno pubblicato sull’Astrophysical Journal e l’altro su Monthly Notice of the Royal Astronomical Society, che mostrano quanto il telescopio spaziale James Webb, che dovrebbe essere lanciato a breve dalla NASA, possa risultare importante per l’osservazione delle zone più lontane del cosmo a noi accessibili.
In particolare gli studi mostrano che il telescopio si rivelerà particolarmente utile per scoprire le galassie nascoste dalla potente luce proveniente dai quasar, considerabili come gli oggetti più luminosi dell’intero universo.
Si tratta di buchi neri supermassicci, che possono avere masse di 1 miliardo di soli, che, proprio per il loro potentissimo livello di luminosità, causata dagli enormi dischi di materiali e gas che girano vorticosamente intorno a loro, possono eclissare intere galassie composte da decine di miliardi di stelle. Il telescopio spaziale Hubble, ad esempio, non può scoprire queste galassie in quanto letteralmente nascoste dai potenti quasar ma il telescopio spaziale James Webb riuscirà a superare questo bagliore offrendoci l’opportunità di esaminare con dettaglio senza precedenti queste lontane galassie che hanno un buco nero supermassiccio luminoso al centro.
“Questo può aiutarci a rispondere a domande come: come possono i buchi neri crescere così grandi così velocemente? Esiste una relazione tra la massa della galassia e la massa del buco nero, come vediamo nell’universo vicino?”, spiega Madeline Marshall, la ricercatrice che ha condotto uno degli studi.
Si tratta in effetti di situazioni estreme: buchi neri che possono pesare più di 1 miliardo di soli sembrano arrivare ad assumere masse del genere in 1 miliardo di anni, qualcosa che ha da sempre sconcertato gli scienziati. Si tratta, infatti, secondo i calcoli effettuati dai ricercatori secondo e le attuali teorie riguardanti la formazione di buchi neri, di un tempo troppo breve per acquisire così tanta massa. Aspettando il lancio del James Webb, i ricercatori dell’Università di Melbourne stanno intanto realizzando una complessa simulazione denominata BlueTides, sviluppata da un team guidato da Tiziana Di Matteo della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, Stati Uniti.
Si tratta di una simulazione che dovrebbe rivelarsi molto utile per analizzare la formazione e l’evoluzione delle stesse galassie e dei quasar durante il primo miliardo di anni della storia dell’universo, come spiega Yueying Ni, un’altra ricercatrice della Carnegie responsabile della simulazione: “Il suo grande volume cosmico e l’elevata risoluzione spaziale ci consentono di studiare quei rari ospiti quasar su base statistica”.
Approfondimenti
- Limits to Rest-frame Ultraviolet Emission from Far-infrared-luminous z
6 Quasar Hosts – IOPscience (IA) (DOI: 10.3847/1538-4357/abaa4c)
- The host galaxies of z = 7 quasars: predictions from the BlueTides simulation | Monthly Notices of the Royal Astronomical Society | Oxford Academic (IA) (DOI: 10.1093/mnras/staa2982)
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