Dato che l’estate si avvicina e dato che è noto che i mesi più caldi rappresentano di solito un fattore di contrasto per la diffusione dei virus influenzali, ci si è chiesti se anche per il virus della pandemia di COVID-19 possa essere fatto lo stesso ragionamento in relazione all’arrivo dei mesi caldi di quest’anno.
Un nuovo studio, pubblicato su Clinical Infectious Diseases, cerca di fare chiarezza su questa questione. I ricercatori del Mount Auburn Hospital hanno infatti esaminato l’impatto che i fattori come la temperatura, le precipitazioni e l’indice di luce ultravioletta naturale possono avere sul virus della COVID-19, ossia il coronavirus SARS-CoV-2.
I risultati mostrano che effettivamente il tasso di incidenza del virus della COVID-19 diminuisce con le temperature che diventano sempre più calde fino a circa 10 °C ma anche che, oltre questa temperatura, ulteriori livelli più caldi sembrano non ridurre più in maniera significativa i livelli di trasmissione della malattia.
Per quanto riguarda la luce ultravioletta solare, un indice UV più elevato aiuta a rallentare il tasso di diffusione della malattia ma con un impatto che complessivamente può essere considerato come modesto.
Infine le precipitazioni non sembrano avere effetti sulla diffusione di questo virus.
Per giungere a queste conclusioni, i ricercatori hanno analizzato i casi di COVID-19 avvenuti dal 22 gennaio al 3 aprile 2020 negli Stati Uniti, casi monitorati da esperti dell’Università John Hopkins.
“Mentre il tasso di trasmissione del virus può rallentare all’aumentare della temperatura massima giornaliera di circa 50 gradi [Fahrenheit, n.d.r.], gli effetti di un aumento della temperatura oltre quello non sembrano essere significativi”, spiega abbastanza chiaramente Shiv T. Sehra, assistente professore di medicina della Harvard Medical School.
Lo stesso Sehra, per essere ancora più chiaro, riferisce che l’associazione tra condizioni più calde e i livelli di diffusione della malattia COVID-19 è troppo debole e che dunque è improbabile che la stessa diffusione rallenti in maniera drastica nei prossimi mesi estivi solo per l’aumento della temperatura.
“Per quanto ne sappiamo, questo è probabilmente uno dei primi studi peer-reviewed che esaminano l’influenza che la temperatura, le precipitazioni e la luce UV hanno in termini di trasmissione del virus nella popolazione generale negli Stati Uniti”, spiega ancora Sehra.
In quanto alle limitazioni dello studio, lo stesso comunicato stampa che lo presenta, pubblicato sul sito del Mount Auburn (primo link qui sotto), parla di dati che sono stati comunque raccolti quando gran parte degli Stati Uniti mostrava temperature massime giornaliere inferiori ai 70 °F (21 °C) mentre le temperature estive di solito superano, a volte anche di molto, questi livelli nella maggior parte delle regioni statunitensi. Dunque questo studio non ha potuto valutare questo effetto, ossia quello relativo a temperature più calde, che superano i 70-75 °F.
Approfondimenti
- PRESS RELEASE: Warmer temperatures slow COVID-19 transmission, but not by much – Mount Auburn Hospital (IA)
- Maximum Daily Temperature, Precipitation, Ultra-Violet Light and Rates of Transmission of SARS-Cov-2 in the United States | Clinical Infectious Diseases | Oxford Academic (IA) (DOI: /10.1093/cid/ciaa681)