
Il bodypainting è un’attività abbastanza comune anche tra le tribù native dell’Africa, dell’Australia, del Sudamerica e dell’Asia sudorientale. Viene praticata soprattutto durante le cerimonie, ad esempio quando un bambino o un adolescente diviene adulto.
Tradizionalmente viene effettuata mischiando vari composti che si possono più o meno facilmente trovare in natura come l’argilla, la cenere o finanche lo sterco di animali quali il bovino. Oltre che avere un valore meramente artistico e visivo, questo “trattamento” aiuta le persone a gestire il calore del corpo o a mimetizzarsi nell’ambiente, ad esempio durante la caccia.
Esiste un particolare bodypainting che imita le strisce bianche e nere delle zebre e che viene praticato da varie comunità indigene che non hanno contatti tra loro. Dato che è già noto che le zebre hanno sviluppato questo caratteristico mantello per evitare le punture degli insetti, un gruppo di scienziati ha pensato che questo bodypainting effettuato da varie tribù nel mondo possa avere lo stesso scopo.
Hanno quindi utilizzato tre manichini dipingendoli in maniera diversa (uno con la pelle scura, uno con la pelle chiara e uno con la pelle scura dipinto con strisce bianche) e li hanno ricoperti con uno strato adesivo per catturare gli insetti qualora questi tentassero di pungere questo finto corpo.
I risultati hanno confermato che il modello a strisce bianche e nere attraeva un numero di insetti di molto minore.
Secondo i ricercatori, queste strisce riescono ad interrompere la polarizzazione della luce riflessa dai corpi umani rendendo la stessa superficie meno attraente per gli insetti. Secondo gli stessi ricercatori, questa “tecnica” viene utilizzata soprattutto in quelle regioni dove sono presenti mosche e in generale insetti volanti succhia-sangue che vanno a pungere le regioni più scure del corpo trasmettendo patogeni di pericolose malattie.
Lo studio è stato pubblicato su Royal Society Open Science.
Fonti e approfondimenti
- Striped bodypainting protects against horseflies | Royal Society Open Science (DOI: doi.org/10.1098/rsos.181325) (IA)
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