
Vasi sanguigni bioingegnerizzati creati in laboratorio partendo da cellule di donatori umani potrebbero essere di grosso aiuto per i pazienti in dialisi secondo uno scienziato dell’Università di Yale che ha collaborato con altri ricercatori della Duke University.
Attualmente i pazienti affetti da malattie renali che si trovano in dialisi sono trattati con innesti sintetici impiantati nel braccio, innesti che comunque sono passibili di eventi quali infezioni, rigetto, coagulazione o altre complicazioni. Altre tipologie di innesti, come quelli creati da cellule del paziente, da cellule di donatori o da quelle prelevate dal tessuto animale, non hanno mostrato prestazioni migliori.
I nuovi vasi bioingegnerizzati creati da Laura Niklason, professoressa di anestesiologia e ingegneria biomedicaa Yale e dai suoi collaboratori, vedono l’utilizzo di cellule vascolari prelevate da donatori umani e poi coltivate in laboratorio attraverso un particolare procedimento .
Le cellule vengono coltivate intorno ad una struttura a forma di vaso sanguigno e, una volta terminata una prima fase, della durata di circa otto settimane, vanta proprietà fisiche dei vasi sanguigni reali.
Questo tessuto ingegnerizzato, sostanzialmente cresciuto da zero, viene lavorato per eliminare i componenti cellulari con una speciale soluzione.
Alla fine di questa seconda fase, resta una struttura proteica prodotta dalle cellule durante la coltura e formata sostanzialmente da collagene e da tessuto non vivente. Proprio il fatto che si tratta di una struttura “decellularizzata” fa sì che i casi di rigetto e di infezione non possano accadere.
Secondo la Niklason un anno dopo l’impianto questi vasi bioingegnerizzati si mantengono sicuri e integri e i pazienti non mostrano segni di rifiuto. Restavano presenti eventi di coagulazione ma questi erano paragonabili, statisticamente, a quelli che si hanno con le alternative.
Inoltre dopo l’innesto dell’impianto, i vasi bioingegnerizzati, poi denominati human acellular vessels (HAV) e creati dalla Humacyte, impresa coofondata dalla stessa Niklason, venivano ripopolati con le cellule del paziente stesso: “Questa è la medicina rigenerativa nel vero senso della parola”, rivela la stessa Niklason.