Velocità di acquisizione di mutazioni genetiche utilizzabile per prevedere durata della vita e fertilità femminile

Credito: William French, Pixabay, 4828422

Secondo un nuovo articolo scientifico pubblicato sulla rivista Scientific Reports da parte di team i ricercatori della University of Utah Health, le differenze nella velocità con cui acquisiamo mutazioni genetiche possono essere considerate come un fattore per prevedere la durata della vita di un essere umano, sia maschio e femmina, nonché il livello di fertilità delle femmine.

Si tratta di uno studio che viene definito come “primo del suo genere”, con il quale gli scienziati hanno scoperto che le persone adulte che mostrano meno mutazioni genetiche sembravano vivere di più, circa cinque anni in media, rispetto a coloro che acquisivano le mutazioni genetiche più rapidamente.

Questa scoperta, inoltre, secondo gli stessi scienziati che hanno realizzato lo studio, potrebbero essere di utilità anche per quanto riguarda il settore che si interessa ad invertire l’invecchiamento umano, un comparto che sta acquisendo sempre più importanza in termini scientifici e lo dimostra il numero di studi sempre maggiore al riguardo.
Secondo Lynn B. Jorde,, una delle autrici dello studio, se i risultati che hanno conseguito in questo studio venissero confermati da ulteriori studi in futuro, potrebbero esserci “enormi implicazioni”: “Significherebbe che potremmo eventualmente trovare modi per aggiustarci e vivere vite più lunghe e migliori”.

Le mutazioni derivano dal fatto che avvengono, nel corso della vita, soprattutto quando si invecchia, danni al DNA. Nel corpo esistono dei meccanismi che riparano questi danni, che possono portare anche a mutazioni genetiche dannose, ma quando si comincia ad invecchiare questi meccanismi cominciano a non funzionare più bene.

Sequenziando il DNA di 61 maschio 61 femmine, tutti nonni in 41 famiglie di tre generazioni, i ricercatori hanno determinato le mutazioni germinali trasmesse dai genitori ai figli e sono giunti alla conclusione che queste mutazioni potevano essere considerate come un biomarcatore per i tassi dell’invecchiamento e soprattutto per prevedere la durata della vita delle persone più giovani e il livello di fertilità delle femmine.

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